La Valnerina è terra di grandi tradizioni, risorse importanti per recuperare le conoscenze ed il sapere necessari a scoprire "chi siamo". Le tradizioni hanno un contenuto affettivo che si tramanda tra le generazioni e la cui riscoperta è un fenomeno di grande rilevanza che non si può associare soltanto all’universo rurale. I riti, i costumi e gli usi di una volta, infatti, non vengono più considerati sopravvivenze di un mondo passato, privo di valore, ma piuttosto si intendono una ricchezza utile a conoscere e valorizzare le radici popolari. Qui sotto le principali Tradizioni di Natale, Pasquali ed altre tradizioni rilevanti in Valnerina.
IL FOCONE DELLA VENUTA
La notte del 9 dicembre, a Monteleone come in molti borghi e campagne della Valnerina, si assiste ad un momento di forte suggestione: l’accensione del “ Focone della Venuta”, per celebrare la leggenda della Traslazione della Santa Casa della Vergine di Nazareth. La leggenda narra che la notte tra il 9 ed il 10 dicembre dell’anno 1294 la Santa Casa dove la Madonna ricevette l’annunciazione dell’Angelo fu trasferita miracolosamente dalla Palestina, per opera degli Angeli che la trasportarono in volo sino sulla costa marchigiana, sorvolando anche la Valnerina per posarsi alla fine sopra un colle in prossimità di un bosco di lauro, da cui derivò il nome di Loreto. E la tradizione vuole che ogni anno, nella stessa notte, per illuminarne il tragitto in Valnerina si accendano tutti i fuochi ed alla mezzanotte si sciolgano le campane in segno e ricordo del miracolo: il fuoco viene elevato a concetto ascensionale, come portatore di luce e di elevazione spirituale e devozione. Il "Focone" deve quindi avere caratteristiche di elevazione anche nella sua costruzione. La legna da ardere viene accatastata accanto ad un altissimo tronco di 4/5 metri che simboleggia l’Albero primordiale, intorno al quale tutti si stringono per innalzarsi fino al soprannaturale. La legna deve essere molta e deve durare tutta la notte fino a sconfiggere l’oscurità. Vengono sistemati paglia, ciocchi e frasche in un intreccio davvero sapiente. I giovani, che per tutta la settimana hanno raccolto la legna nei boschi, si adoperano nell’architettura del focone, che non è cosa semplice da costruire perché ardendo deve rimanere comunque compatto e non crollare. L’operazione avviene sotto l’esperta guida degli anziani del paese, quasi a voler passare il testimone da padre in figlio. La piazza dove viene edificato il "Focone" è nella parte alta del paese, la più antica: Piazza del Mercato. E’ un momento di grande condivisione, tutti gli abitanti di Monteleone si radunano intorno al fuoco, che viene benedetto dal Parroco e subito tutto prende un senso di grande sacralità. Dopo la benedizione, con un apposito rito, inizia la distribuzione dei cibi tradizionali: salsicce e carni alla brace, bruschette di pane di farro, patate cotte sotto la cenere, castagne e vino caldo. Intorno alla piazza vengono allestiti grandi bracieri dove vengono cotti i cibi. Tra sacro e profano si consuma la notte in un clima magico in cui l’uomo cerca il trascendente fondendosi con la forza della natura.
IL CANTO DELLA PASQUARELLA
La "Pasquarella" è un canto augurale natalizio legato ad una antichissima usanza diffusa in tutta la Valnerina e nel Leonessano. Don Zocchi, cugino del nostro Dino Marini, ha raccolto in un libro i migliori canti e scrive che: “... religiosità e folklore, schiettissimo senso dell’ospitalità e povertà antica, lunghissima stagione invernale e voglia di vincere la noia, sono le componenti di questa tradizione di menestrelli che va sotto il nome di Pasquarella”. Durante i freddi mesi invernali, infatti, gruppi di ragazzi ed adulti usavano radunarsi per preparare dei canti celebranti i diversi momenti della Natività di Cristo, da diffondere di paese in paese, di casa in casa, durante le feste natalizie. Canti augurali che celebravano l’arrivo dei Magi, la Befana, l’Anno Nuovo, il Natale, e che si concludevano con l’augurio di buone feste e prosperità. I canti generalmente nascevano come delle semplici laudi sacre, ma man mano si andavano arricchendo di appendici ed immagini profane, bizzarre e goderecce, senza mai cadere nel volgare e si concludevano sempre con gli auguri e la richiesta di doni o di cibo. Nelle storie si inserivano poi delle gustose scene ed immagini di schiettezza tutta contadina, che variavano in infinito le storie del Redentore con fantasiose ed a volte anacronistiche ingenuità. La Natività è sicuramente il tema che più ricorre tra le righe di questi canti e che si riallaccia alla tradizione francescana del presepio che, avvalorata dalle numerose chiese e comunità dedicate al santo, trova la sua più alta rappresentazione nel grandioso presepio cinquecentesco della cappella omonima della chiesa di san Francesco a Leonessa. Il canto della Pasquarella si sviluppava generalmente in tre momenti: l’annuncio delle grandi solennità natalizie, tra le quali l’Epifania è la più importante; l’augurio di buone feste, e, come ultimo momento, la richiesta esplicita o velata dei Pasquarellanti di doni e cibarie. Riportiamo di seguito, per intero, una Pasquarella insegnata a suo tempo dalla maestra di Poggiodomo che viene indicata come una delle più antiche.
NU SIMU VINUTI
Nu simo vinuti co’ tutta creanza, sicunnu l’usanza, la Pasqua a cantà.
Là ‘drento a ‘na stalla nascié lu Bambinu, je manca lo inu, je manca lo pà.
Se more de friddu, ‘n cià manco ‘n littucciu, nascié purittucciu, nascié pé penà.
Ma tello vicino ce sta San Giuseppe, reccoje le zeppe pé faru scallà.
La Madre je canta, j’ammocca, j’ammanna, je fa ninna-nanna, je dà ru coccò.
Ri pòri pastori, chi ‘n può de ricotta, che abbacchiu e caciotta je viengu a portà.
E mo li Re Maggi co’ tutti li fiocchi, co’ doni e brellocchi ru viengu a adorà.
Nu pure que cosa che rempe la panza, sicunne l’usanza, vulimo assajà.
Se può ve dispiace d’aprì la creenza, d’aprì la dispenza putimo abbozzà.
Però ‘n mocalittu de bona vinella, co’ ‘n può de ciammella portatece qua.
LE TRADIZIONI DI CARNEVALE
In Valnerina, con la Festa di Sant'Antonio Abate, per tradizione si dava ufficialmente inizio al Carnevale. Il pranzo di Sant'Antonio era il pasto abbondante per antonomasia, il più sontuoso di tutto l'anno. I santesi facevano a gara per superare quello servito l'anno precedente, per mostrare la propria devozione verso il Santo protettore degli animali e di tutto il mondo rurale. Le ragazze del paese erano pronte a servire il pranzo, con garbo e precisione, al pari di un ballo per le debuttanti: portare a tavola per il pranzo di Sant'Antonio significava infatti passare dalla fanciullezza all'adolescenza. Invece l'ultimo giorno di Carnevale un tempo era vietato lavorare e, chi fosse stato trovato nei campi, veniva catturato, legato a una scala e trasportato in paese. Poichè la pena applicata al trasgressore era quella di offrire da bere a tutti gli uomini del paese il vino della propria cantina, era talmente tanta l'allegria che qualche uomo generoso andava di proposito a lavorare per farsi cogliere in flagrante. Iniziava così il giro delle botti e dei boccioni da una cantina all'altra fino a sera, quando allo scoccare della mezzanotte iniziava il periodo di Quaresima con le Sacre Ceneri. Da questo momento ogni festa era vietata, le stoviglie venivano lavate con la cenere per togliere la minima traccia di grasso e tra i ragazzi iniziava il gioco del "fuori il verde" che consisteva nel chiedere a chi si incontrava di mostrare il suo rametto di bosso, gelosamente custodito nelle tasche fino a Pasqua.
LE TRADIZIONI DI PASQUA
PROCESSIONI DEL CRISTO MORTO
La Passione e la Resurrezione rivivono nelle Processioni del Cristo Morto che si svolgono in Valnerina il Venerdì Santo, dove borghi e centri storici vengono illuminati con torce e fiaccole, donne e uomini intonano antiche laudi, penitenzieri incappucciati a piedi nudi portano la croce, antiche confraternite sventolano i loro vessilli, ed i luoghi stessi aggiungono forza emotiva a questa antichissima forma di teatro popolare.